LA MANSIONE DI S.MICHELE SEARU


Un sentiero di campagna nella periferia meridionale di Sanluri viene chiamato ancora oggi "Bia Siarus": tale sentiero collegava anticamente la “villa” di Sanluri con quella appunto di Siarus o Searu, entrambe comprese, nel Medioevo, nella curadorìa di Gippi, nel Regno di Calari.

In una vecchia relazione, custodita nell'Archivio parrocchiale di Serramanna, viene precisato che nella località di Santu Miale, ubicata all'incirca a metà strada tra i due centri abitati di Serramanna e di Sanluri, si ergeva una chiesa intitolata a S.Michele di Siarus, che nel Medioevo svolgeva le funzioni di parrocchiale della “villa” omonima.

Ma che cosa era in realtà la “villa” di Siaru o Searu?

Quella che all’inizio del 1800 venne indicato col nome “stabilimento di S.Michele”, insieme allo “stabilimento Vittorio Emanuele”, costituì nel Medioevo una delle zone più malariche della Sardegna a causa della vicinanza dello stagno di Sanluri - il più vasto in assoluto di tutta l'isola - la cui presenza ha costituito a lungo un motivo di notevole disagio per le genti dei villaggi più vicini. Allo stato di insalubrità che esso determinava in quanto ricettacolo ideale per la zanzara malarigena si sommava il pericolo di esondazioni in occasione di piogge particolarmente violente ed abbondanti, a causa dell’incapacità della sua conca di contenere la massa idrica che vi si riversava.

Tale situazione precaria fu probabilmente, in passato, il motivo principale per la realizzazione di un centro di accoglienza e di assistenza ospedaliera che si preoccupasse dell’incolumità e della sanità di chi si accingeva a passare in quei pressi o di coloro che normalmente stanziavano nel territorio adiacente le zone umide. Fu proprio per questi motivi che, oltre alle già citate bolle papali del 1198 e del 1216, un censimento del 1322 indica nel Regno di Càlari l’esistenza di un’obedientia dell’Ordine di Altopascio chiamata "Villa Serru (Searu) Curatorie Ghippi ".

Quindi con il nome di “villa” di Searu si voleva indicare la mansione sede degli ospedalieri del Tau che esisteva sicuramente già dal sec. XII.

I frati di Altopascio, la cui presenza si deve sicuramente all’azione del Comune di Pisa, si prodigarono, evidentemente, per rendere più agibile il percorso che collegava Càlari con i centri della curatorìa di Gippi, con la creazione e la manutenzione di canali artificiali per regolamentare lo scorrimento delle acque superficiali e, nel contempo, si adoperarono come istituto ospedaliero per cercare di preservare e curare i mali derivanti dall’insalubrità del luogo.

Un documento del 10 gennaio 1329 riguarda una presunta concessione fatta dall’antipapa Nicolò V, dalla sua sede di Avignone, a Raniero dei Gualandi di Pisa della “villa” di Searu insieme agli altri beni che l’Ordine di Altopascio aveva in Sardegna: questa non fu fai messa in atto anche perché il capitolo di Altopascio del 1358 affida all’amministrazione di fra Giovanni Silvani di Pescia la ecclesia di S.Michele de Siasi (Searu).

Alla metà del Trecento, i territori pisani del Regno calamitano passarono ai catalano – aragonesi, costituendo praticamente il primo nucleo del Regno di “Sardegna e Corsica”. Ciononostante, le obedientie sarde di Altopascio, grazie al prestigio acquisito, continuarono ad essere operative e a poter intrattenere rapporti politici con il Comune di Pisa. La “villa” di S.Michele di Searu, per esempio, non era tenuta a versare alcuna somma al comune pisano, ma in caso di guerra doveva garantire al detto comune assistenza militare con uomini e mezzi.

La peste, le carestie e le calamità naturali determinarono la diminuzione della popolazione: le terre rimasero incolte e si diffuse sempre più la piaga della malaria.

Ancor di più fecero le rivolte e le guerre contro l’infeudazione aragonese che causarono la distruzione o l’abbandono di molte delle ville di Parte Ipis, la confisca dei beni e la prigionia o addirittura l’uccisione degli abitanti.

Data la scarsità di materiale documentario, possiamo solo dire che nel 1414 Searu fosse già stata abbandonata dai Cavalieri di Altopascio in quanto non fu compresa nell'elenco dei centri ancora dotati di popolazione nel momento in cui tutta l'area della curadorìa di Gippi fu attribuita in feudo a Giovanni Siviller, non comparendo neppure come esclusa dal versamento dei tributi.