L' OSPITALE DI S.MARIA DI SEVE


In passato, il complesso di Seve è stato oggetto di studio da parte di ricercatori e storici i quali, senza alcun elemento documentale medioevale a supporto, lo hanno attribuito ai monaci vallombrosani, descrivendolo come un monastero con annessa chiesa e romitorio. Oggi siamo in grado di affermare, supportati da ricerche documentali, archeologiche e da analisi e comparazioni tipologiche, di aver individuato nel complesso monumentale chiamato oggi comunemente S.Maria di Cea quell’ospedale di S.Maria di Seve, obedientia o mansione affiliata dell’Ordine religioso - militare di S.Giacomo di Altopascio, citato in diversi documenti del XII e XIII secolo.

L’”ospedale” di Seve fu il più importante riferimento per l'Ordine nell'isola, anche perché la circostanza di luoghi lontani dal continente e dalla casa madre ci fanno ritenere come possibile l'esistenza di un'amministrazione decentrata e quindi l'esigenza della residenza in Sardegna di un capo subalterno, che dirigesse e curasse le magioni sparse nell'Isola.

Situato nel Regno di Torres, esso era compreso nella “curadorìa” di Figulinas e ricadeva nella giurisdizione episcopale di Ploaghe: come la casa madre o i più celebri stabilimenti dell’epoca, non sorgeva al centro di una città ma in aperta campagna, in un tratto particolarmente delicato del tragitto della bia Grekisca o S'Istrada'e sos Padres, e molto probabilmente esisteva già prima del 1198, come ci suggeriscono anche i saggi di scavo effettuati nel 1990 che hanno evidenziato all’interno della chiesa alcune fondazioni di strutture murarie probabilmente anteriori al sec. XIII.

Il complesso di Seve è situato a pochi chilometri da Banari, piccolo centro della provincia di Sassari, lungo la strada in direzione di Ittiri e Florinas.

Il primo impatto nel giungere nei suoi pressi è quello di una valle attorniata da monti brulli e percorsa dal fiume Tamerici, affluente del Rio Mannu di Portotorres; un ponte a due arcate consente oggi il passaggio da una sponda all’altra e, anche se la sua fabbrica non sembra tanto antica, molto probabilmente esso ha preso il posto di uno simile già esistente in passato.

Oggi il paesaggio offre la tipica desolazione delle campagne sarde, ma chi ha abitato questi luoghi – in un passato molto vicino a noi - conserva memoria di immense foreste boscose che coprivano queste valli e salivano su per le colline.

Osservando il percorso del fiume non possiamo fare a meno di notare anche la presenza di due mulini ad acqua, ora abbandonati e diroccati, che tradiscono la loro età.

La strada che seguiva l’antico percorso e che dal ponte portava direttamente al piazzale d’ingresso del complesso di Seve, oggi devia per un percorso più agile: arrivati di fronte alla chiesa ci accoglie lo stile austero della sua facciata dove , racchiusa tra due croci a Tau di Altopascio, è scolpita l’epigrafe:

FRATE(r) ALDIB(r)A(ndus ?)

FRAT(er) GUICARDUS DE U(..)OTIDA PRIOR S(an)C(t)E MARIE (….) MCCLX

Oltre a confermare la presenza dell'Ordine nel Regno di Torres e ad indicarci l’anno (1260) di un probabile restauro dell’edificio, l’epigrafe riporta i nomi di frater Aldibrandus, in bella evidenza, e del priore frater Guicardus.

Il primo è da identificare, vista anche la posizione nell’epigrafe, con Il debrando maestro generale dell'Ordine (1189 – 1213) al quale il pontefice Innocenzo III
indirizzò la già citata bolla papale del 1198. Il secondo era, con molta probabilità, il priore dell'”ospedale”.

Un particolare di notevole importanza è la croce a forma di Tau posta sulla sinistra dell’epigrafe, la quale porta scolpita al di sotto una "S", che pare suggerirci il nome della obedientia di Seve.

La chiesa, costituita da un’unica navata anticamente voltata a botte, è fornita nel lato settentrionale di una “porta santa”, contrassegnata all’esterno sulla destra da una croce di tipo greco.

Nel muro di recinzione collegato alla chiesa, un’apertura ad arco con un cancello ci fa intravedere quello che sembra un grande spiazzo ma che scopriamo essere una corte. Qui si notano ancora le tracce di muri perimetrali di vari ambienti, un pozzo al centro e, sulla destra, un edificio ad un piano coperto a tetto.


La struttura degli edifici è, sostanzialmente, di tipo romanico e, cosa molto importante, la pianta dell’intero complesso di Seve ricalca fedelmente quella della casa madre di Altopascio.



La chiesa, l’edificio a corte, il pozzo, il cimitero, il fiume, il ponte, i mulini, ed il TAU con l’iscrizione posta nella facciata della chiesa sono, infatti, caratteristici elementi comuni alla casa madre di Altopascio.


IL NOME

Il nome “Seve” è citato nei documenti anche nelle varianti SEVA, SEAE, SEVER: gli abitanti di Banari pronunciandolo “SEA” o “CHEA” lo identificano con il termine in vernacolo che indica nell’uso comune una "pianura" o "terrazzamento pianeggiante" assai fertile, adibita a coltura o pascolo, che trova ampio risconto nella toponomastica sarda.

Altra ipotesi, altrettanto plausibile, potrebbe essere quella di un toponimo toscano poi adattato alla parlata locale, tradotto e riscritto come tale: infatti nell’unico documento non sardo del 1358, che riguarda il già citato capitolo generale dell'Ordine di Altopascio, si parla dell’ospedale di Santa Maria di Sieve, termine che trova riscontro in toscana nei toponimi San Pietro a Sieve, Pontassieve e nel nome del fiume Sieve.

LE PROPRIETA'

Per poter esercitare un’attività assistenziale così impegnativa e complessa era necessario non solo avere del personale sufficiente e preparato, ma anche una disponibilità di mezzi economici che per la maggior parte derivavano esclusivamente dalle proprietà fondiarie e dalle donazioni. A Seve, come in ogni magione filiale dell’Ordine, doveva quindi esservi un Precettore, un Frate Sacerdote, alcuni Frati Cavalieri e parecchi Serventi che, oltre a gestire il via vai di persone, amministravano molto probabilmente numerose pertinenze, delle quali oggi rimane traccia nei toponimi Binza e’ Se, S’abbadia, Badde paradiso, Sa tanca su santu, S’iscia de Nostra Signora, Santu Giagu.

Costoro avrebbero dovuto garantire il versamento periodico della terza parte dei proventi alla Casa Generalizia di Altopascio, o come riportato testualmente nella Regola: “Di tucte l’obedentie la terza parte del pane e del vino et dogni nutrimento lo maestro riceva”.

LA STORIA NEI DOCUMENTI

L'ospedale di Seve viene citato nel Condaghe di S.Michele di Salvenor, in una donazione databile alla metà del sec. XII:

" Diò a San Miguel Ithocor de Kotrongianu por su alma y de sus parientes ... la mitad de su salto de SEBE ... Y la mitad del plano del Silique de SENE …" [pag. 304, n. 203].

e successivamente nelle bolle papali del 1198 e del 1216. Compare anche in tre carte del condaghe di S.Pietro di Silki databili tra il 1210 ed il 1229.

"Ego abatissa Tedora de Silki canbiai cun su priore de SEUE Paganellu: ego li dei ad isse a Jorgia Thana, et isse deitimi a mimi a Maria Tamuri fiia de Ithoccor Tamuri dandenos [CXVIII, 126v] a boluntate de pare unuchis parthone issoro. Testes, donnu Comita de Serra curatore de Frussia, armentariu meu et suo, et donnu Mariane Pinna curatore de Meiulocu, et Ithoccor Casu de Thathari, et preuiteros donnu Petru de Soiu, et donnu Dorgotori de Serra su de Cleu. Testes" [pag. 109, n. 395].

"Ego abatissa Tedora, abatissa de Silki. Canbiai sun su priore de SEUE Paganellu, cun boluntate de iudike Comita; ego li dei ad isse ad Jorgia Thana cun fiios ki ait auer factos cun su servu de SEUE, et ait faker daue tando innanti, et feminas et masclos cun parthone sua; et isse deitimi a mimi a Maria Tamuri, fiia de Ithoccor Tamuri et fiia de Muscu intrega, cun fiios ki ait auer factos et ait faker daue tando innanti et feminas et masclos cun parthone sua; et beninde kinde kertaret nennu donnu ki ui ait in sa domo de SEUE, o acteru [CXXII, 130v] homine pro SEUE, pro custu kanbiu ki amus factu unpare, d'auessinde bene dessa domo d'Usune scu. Petru de Silki, cun omnia contu se mandicat appus sa domo d'Usune ki est appus SEUE. Testes uue fekimus custu canbiu et ecustu accordu, iudiche Comita, et Petru d'Athen, et Gosantine de Serra, et Mariane de Itil. Testes" [pag. 113, n. 408]

"Ego Ogulinu dessa Rocca priore de Silki ki ponio in ecustu condake: kertaitimi su priore de SEUE Marcualdu in corona de iudike Mariane in Kerki [sa die] de sinotu, et naraitimi ca "a Maria Tamuri et assos fiios et assas fiias proitteu lo[s] leuas a sca. Maria de SEUE, ki ti los auian postos a pinnos Paganellu pro XII bisantis ? Boioti torrare sos bisantis, et torra sos homines a sca. Maria de SEUE". Et ego naraitili ka "custos homines prounde mi kertas a ppecuiare furun kanbiatos"; et isse naraitimi ka "no las hauian kanbiatos a pecuiare in [CXXIII, 131] co naras"; et ego naraitili ka "emmo". Judicarunumi a batture ego destimonios ka los kanbiarun a pecuiare, et batussi destimonios, et iurarun ka los auian kanbiatos a pecuiare; et derunimi iura, et iurai et binki. Testes in cuia corona binki, iudike Mariane, et homines de corona, donnu Petru pinna et donnu Comita de Gunale, et Jelardinu Furru, et Ithoccor de Kerki." [pag. 113, n. 409]

Grazie a questi ultimi documenti conosciamo i nomi di due priori che operarono in questa mansione: tali Paganello e Marcovaldo.

Il ruolo di prestigio che rivestì la magione è posto in risalto dalla convocazione del priore di Santa Maria di Seve alle prime Corti generali del Regno di Sardegna, tenutesi a Cagliari nel 1355, privilegio condiviso insieme ai principali rappresentanti del clero regolare sardo. Tale priore, del quale non viene citato il nome, ricevette un primo invito con lettera datata 23 gennaio 1355 ed un sollecito con lettera del 20 febbraio 1355, per presentarsi entro cinque giorni dal ricevimento di tale documento: nonostante ciò la sua presenza non fu registrata ed egli, molto probabilmente, non prese parte ai lavori del Parlamento.

In alcuni casi eccezionali, per poter finanziare alcune crociate la Chiesa di Roma si vide costretta a chiedere delle contribuzioni anche a quegli Ordini che normalmente ne erano esenti, come accadde per gli Ordini dei Templari e degli Ospedalieri. Anche l'Ordine di Altopascio dovette contribuire finanziariamente all'organizzazione della crociata contro i Turchi indetta da papa Innocenzo VI: vediamo infatti che per gli anni 1357 - 1358 - 1359 l'obedientia di Seve versava delle decime, come riportano testualmente le "Rationem Decimarum Sardiniae":

"Anno a nativitate Domini MCCCLVII, XV die mensis Octobris … Ego Raymundus episcopus sulcitanus in Regno Sardiniae et Corsice apostolice Sedis nuncius, recepi a prelatis et personis ecclesiasticis dicti Regni, nomini Camere apostolice, de residuis decimarum triennalium et biennalium contra Thurcos etc. … PLOVACENSIS DIOCESIS: Pro pro ecclesia de Sever dicte diocesis. IIII libr. Restant ad solvendum VIII libr " [INNOCENZO VI – ex Arch. Vatic., Rat. Collector 246, f. 119].

Anche i nuovi conquistatori della Sardegna, i catalano - aragonesi, imposero il pagamento di contribuzioni che in questo caso finivano nelle casse reali. La “Coleciòn de documentos ineditos – Compartment de Sardenya” del Bofarull y Mascarò contiene un documento che riporta un censo aragonese del 1358: tra i centri abitati della curadorìa di Figulina si nomina la villa di Seve nella quale erano stanziati otto uomini armati:

"(Curatoria di Friguolines), Villa de Seve en la qual stan VIII homens darmes e de pagar posta ha valgut lany passat ".

L’”ospedale” di Santa Maria di Seve fu abbandonato, probabilmente, prima del 1362, anno in cui anche la casa madre di Altopascio fu incendiata e distrutta, a causa delle guerre tra Lucca, Firenze e Pisa.

E comunque ne rimase pertinenza non oltre il 28 gennaio 1587, anno in cui una bolla di papa Sisto V disponeva la soppressione dell’Ordine dei Frati di Altopascio e l’assegnazione di tutti i suoi beni all’Ordine Cavalleresco di S.Stefano di Pisa: tra questi beni dovevano essere compresi tutti i territori sardi. Questi ultimi però, molto probabilmente, non confluirono in quell’Ordine ma rimasero come “congelati” nelle mani del clero locale.

L’”eremo di Seve”, così come fu chiamato, rientrò in uso nella seconda metà del sec. XVI, con l’impegno dell’ordine benedettino di Vallombrosa, al quale fu attribuito da tutti gli studiosi di storia ecclesiastica sarda sulla base delle memorie del monaco Adriano Ciprari, abate di S.Michele di Salvenero.